La violenza epistemica
- IN.Palestina
- 23 mag 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 22 mar

Dal 7 ottobre, personalità pubbliche così dette solidali alla causa palestinese hanno obliterato la storia di colonialismo in cui s’iscrive il genocidio in corso a Gaza, esprimendo timidi messaggi di “pace” e pietà per tutte le vittime, oppure opponendosi apertamente ai tentativi di contestualizzare l’operazione della Resistenza.
Nel frattempo, alle pochissime persone palestinesi a cui è stata concessa una piattaforma è stato richiesto di soffermarsi sui sentimenti dei loro aguzzini e di condannare la Resistenza come prerequisito per parlare ed essere ascoltate.
Si potrebbe credere che questi meccanismi di disumanizzazione e censura delle persone palestinesi siano una conseguenza del 7 ottobre, ma la realtà è ben diversa. Questi meccanismi sono insiti nel discorso pubblico occidentale e hanno un nome proprio: violenza epistemica.
Già nel 1984, Edward Said notò come alle persone palestinesi fosse negato il diritto di “narrare” le proprie esperienze vissute sotto il colonialismo sionista.
La negazione del diritto a narrare genera non solo l'invisibilità delle esperienze vissute dalle soggettività oppresse, ma anche l'obliterazione delle cause di tali esperienze di espropriazione materiale e politica, che nel caso della Palestina è il colonialismo d’insediamento.
Come spiega Ruba Salih, la violenza epistemica, ovvero la sparizione e la disumanizzazione delle persone palestinesi [dal discorso pubblico occidentale], “ha sostenuto e continua a sostenere la loro eliminazione fisica e cancellazione come popolo.”
Le persone “solidali” nel Nord Globale ricoprono un ruolo centrale nella continuazione della violenza epistemica e hanno la responsabilità di capire cos’è e come combatterla.
La violenza epistemica è un tipo di violenza esercitata in relazione alla produzione, la circolazione e il riconoscimento della conoscenza.
Alcune forme di violenza epistemica esercitate contro il popolo palestinese includono:
la squalifica della conoscenza prodotta da persone palestinesi,
il furto e lo sfruttamento del loro sapere collettivo,
la negazione della loro capacità epistemica e la loro conseguente oggettificazione.
Nel concreto, queste forme di violenza avvengono, per esempio, quando:
si usano le conoscenze prodotte da persone palestinesi senza consenso e attribuzione,
si esaltano voci non palestinesi,
si riduce il popolo palestinese ad un oggetto di disquisizione o ad una vittima “del caso”, spogliandolo della propria capacità di azione.
La violenza epistemica non opera nel vuoto, ma è sostenuta e sostiene le gerarchie di potere che dividono il mondo in “noi qui su” e “loro lì giù” e che dominano il discorso con effetti letali.
Consideriamo per esempio frasi del tipo “in Cisgiordania non c’è Hamas e l’occupazione uccide lo stesso”, “né con Israele, né con Hamas” o “non tutte le persone palestinesi stanno con Hamas”.
Quando diciamo frasi di questo tipo tracciamo (seppur involontariamente) linee di demarcazione fra chi appartiene all’umanità e chi no, attribuendoci un ruolo di giudici morali che non ci spetta.
Frasi di questo tipo contribuiscono alla disumanizzazione del popolo palestinese e a negare il diritto a parlare alle persone palestinesi che si rifiutano di fare appello alla sensibilità occidentale.
Questo non significa che dobbiamo rinunciare al nostro punto di vista, ma che il nostro punto di vista è irrilevante.
Cosa possiamo fare attivamente per combattere la violenza epistemica?
Come spiegano Rafeef Ziadah e Adam Hanieh, “il movimento di solidarietà per la Palestina deve lavorare due volte di più per far emergere l'esperienza [delle persone palestinesi],” assicurandosi che alle persone palestinesi sia permesso di parlare per se stesse e che la loro voce sia ascoltata. Per iniziare:
citiamo fonti palestinesi e amplifichiamo la narrazione diretta di persone palestinesi,
smettiamo di dipingere il popolo palestinese come una massa di “vittime innocenti, passive, incapaci di autodeterminarsi”, invece che una collettività politica resistente,
smettiamo di rispondere alle provocazioni con discorsi che disumanizzano il popolo palestinese,
professiamo la nostra alleanza al popolo palestinese non solo quando viene brutalizzato, ma anche quando resiste in piena facoltà del suo diritto inalienabile di autodeterminazione.
Fonti principali:
Rania Muhareb, Persecution of Palestinian Civil Society: Epistemic Violence, Silencing, and the Apartheid Framework
Ruba Salih, Can the Palestinian Speak?
Mohammed El-Kurd, The Right to Speak for Ourselves
Kharnita Mohamed, Epistemic Debilitation and the Erasure of Genocide
Edward Said, Permission to narrate
Mariam Masud, I Don't Want to Be Civil Anymore