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Lotte di potere: l'energia come arma di guerra, dominio e resistenza in Palestina

  • Immagine del redattore: Zachary Cuyler
    Zachary Cuyler
  • 20 gen
  • Tempo di lettura: 17 min

Aggiornamento: 3 apr

Il numero invernale di MER, "Resistance - The Axis and Beyond", prende in esame la costellazione di forze regionali che combattono il dominio israeliano e, con esso, l'imperialismo statunitense in senso più ampio. I contributi in questo numero esplorano le radici del cosiddetto Asse della Resistenza e dei suoi vari membri, siano essi Stati, milizie o partiti politici, considerando le tensioni e le incertezze generate dall'espansione della guerra regionale di Israele negli ultimi mesi e ciò che ne è seguito.



persone davanti a un fuoco di notte
Palestinesi che vivono con elettricità limitata nel campo profughi di Nuseirat nella Striscia di Gaza centrale, 24 dicembre 2024. Hassan Jedi/Anadolu via Getty Images

L'8 ottobre 2023, meno di 24 ore dall'attacco di Hamas del 7 ottobre, Israele interruppe il flusso di energia elettrica verso Gaza, riducendo istantaneamente la disponibilità di elettricità da 14 a quattro ore al giorno.


Il giorno seguente, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant dispose un “assedio completo” su Gaza, che includeva elettricità e carburante, oltre a cibo e acqua. L'11 ottobre, la centrale elettrica di Gaza aveva esaurito il carburante e aveva smesso totalmente di produrre elettricità. Il 12 ottobre, il ministro delle Infrastrutture nazionali, dell'Energia e dell'Acqua, Israel Katz, dichiarò che il blocco di carburante, acqua ed elettricità sarebbe continuato fino a quando Hamas non avesse rilasciato le persone prese in ostaggio.


Visto il ruolo fondamentale che l'energia ha nella fornitura di altri servizi essenziali, questa guerra alle infrastrutture ha portato a una catastrofe senza precedenti: gli impianti di desalinizzazione hanno esaurito le scorte di carburante nel giro di una settimana, tagliando l'accesso di Gaza all'acqua potabile, un risultato che Human Rights Watch ha definito deliberato e genocida; gli ospedali sono rimasti senza elettricità, impedendo la cura adeguata di migliaia di feriti; il sistema fognario si è fermato nel giro di un mese.


Ma la capacità di Israele di interrompere quasi istantaneamente l'erogazione di energia ai 2,2 milioni di persone che vivono nella Striscia di Gaza non è una novità. È il risultato di politiche vecchie un secolo e della costruzione di un sistema energetico centralizzato, alimentato da combustibili fossili e controllato da Israele. La dipendenza energetica della Palestina è parte integrante del dominio israeliano sulla vita palestinese e costituisce uno strumento chiave per le pratiche di sfruttamento, espropriazione, assedio, colonizzazione e rimozione a cui la popolazione palestinese è stata a lungo soggetta. Come ha sostenuto Omar Jabary Salamanca, attraverso il controllo dell'elettricità e di altri servizi essenziali, “lo Stato di Israele è in grado di creare possibilità di vita, ma anche di provocare incertezza e morte”. [1]


Nel periodo bellico successivo al 7 ottobre, il blocco delle forniture energetiche e gli attacchi alle infrastrutture energetiche da parte delle forze israeliane sono avvenuti nell'ambito di una campagna più ampia volta a rendere la striscia inabitabile. Per essere rispettato, l'attuale cessate il fuoco richiederebbe che le autorità israeliane permettano l'ingresso nella striscia di grandi quantità di carburante insieme ad altri aiuti. Questa disposizione è appunto il problema: con ogni probabilità, Israele manterrà il controllo sul flusso di energia verso Gaza, e la popolazione palestinese rimarrà quindi dipendente e vulnerabile alle tattiche punitive di assedio. Anche se la fine di questa guerra porterà a un ritorno alla formula dei due Stati, piuttosto che all'annessione formale, è impossibile immaginare uno Stato palestinese effettivo sotto tali condizioni.


Elettricità e sviluppo disomogeneo nella Palestina del Mandato


Il ruolo centrale dell'elettricità nella colonizzazione e nello sviluppo disomogeneo della Palestina risale al periodo del Mandato.


All'inizio degli anni '20, le autorità britanniche concessero alla Palestine Electric Company (PEC), gestita dall'ingegnere sionista russo Pinhas Rutenberg, una concessione di monopolio di 70 anni sulla fornitura di energia elettrica in tutto il territorio del Mandato. Gerusalemme era servita da una concessione separata di proprietà britannica originariamente concessa dagli ottomani. Con il sostegno britannico, la PEC costruì centrali elettriche e assemblò una rete di linee elettriche che collegava alla rete le installazioni militari e le aree di insediamento ebraico più densamente popolate, stabilendo un rapporto duraturo tra infrastrutture energetiche, occupazione e colonizzazione.


La PEC investì molto nelle aree a maggioranza ebraica, partendo dal presupposto che avrebbero goduto di una maggiore crescita economica e quindi sarebbero diventate clienti migliori. Questo investimento facilitò ulteriori insediamenti, che a loro volta incoraggiarono l'ulteriore espansione della PEC. La PEC acquistò anche terreni intorno a siti designati per la costruzione di dighe idroelettriche e linee elettriche, comprese le fertili valli del Giordano e del fiume Auja. Ciò permise la costruzione di colonie ebraiche che fungessero da baluardi difensivi intorno alle infrastrutture della PEC. Questi investimenti rafforzarono il familiare schema a forma di N degli insediamenti ebraici, con cavi ad alta tensione e nuovi villaggi che si estendevano da Tel Aviv a sud fino ad Haifa a nord e al fiume Giordano a est.


La PEC lottò per mantenere il proprio diritto esclusivo all'elettrificazione, impedendo ai municipalità arabe di creare i propri sistemi di rete locali, anche in località che la società considerava non redditizie, come ha dimostrato Fredrik Meiton. [2] Le comunità palestinesi che cercavano di collegarsi alla rete PEC spesso incontravano resistenza e condizioni di sfruttamento. La PEC inizialmente rifiutò di collegare la città araba di Nazareth alla rete, ad esempio, ritenendo che non sarebbe stato redditizio. L'azienda iniziò a fornire elettricità a Nazareth solo in seguito a un nuovo accordo in base al quale il municipio, anziché l'azienda stessa, avrebbe pagato gli interessi sul capitale raccolto per il progetto.


A ciò si aggiunga che molte comunità arabe rifiutarono il collegamento alla rete per paura di dare ulteriore slancio alla colonizzazione della Palestina. Tra le persone che si opposero all'espansione della PEC e alla politica imperiale britannica, ci furono anche sabotatori che danneggiarono le linee elettriche e i generatori causando gravi blackout. Ma verso la metà degli anni '30, la PEC aveva ridotto l'efficacia del sabotaggio aggiungendo ridondanza alla rete. La società aveva anche stipulato accordi con le élite locali per collegare le principali comunità arabe, come Tulkarem e Jenin, rendendo così più palestinesi dipendenti dall'elettricità della PEC. Sebbene i ribelli avessero regolarmente sabotato le infrastrutture della PEC durante la Grande Rivolta Araba del 1936-1939, la rete era ormai abbastanza resistente da sopportare tali tattiche.


Nel corso degli anni '30, la tendenza della PEC a investire in modo più estensivo nelle infrastrutture che servivano la Yishuv in rapida industrializzazione ha prodotto economie ebraiche e arabe distinte e disuguali, sebbene interconnesse. Alla fine del Mandato, la Yishuv costituiva solo circa un terzo della popolazione, ma consumava fino al 90% dell'energia generata. Questa disparità nell'accesso all'elettricità rifletteva e contribuiva a produrre la disuguaglianza fondamentale tra le comunità arabe ed ebraiche che si venne a creare durante il periodo del Mandato. Questo contribuì anche a creare l'apparenza di un sottosviluppo arabo che a sua volta fu usato per giustificare un'ulteriore colonizzazione.


Dipendenza forzata e resistenza dopo il 1948

 

La disuguaglianza delle infrastrutture di base che emerse durante il Mandato si protrasse nel nuovo Stato di Israele, fondato nel 1948.


L'estensione graduale della rete elettrica israeliana nei territori appena acquisiti favorì la dipendenza palestinese dall'energia israeliana. La popolazione palestinese rimase indietro nell'accesso all'elettricità, mentre i nuovi insediamenti ebraici furono collegati alla rete fin dall'inizio. Il successore della PEC, l'Israel Electric Company (IEC), deteneva il monopolio della produzione di energia elettrica in Israele, rendendo impossibile la creazione di reti indipendenti da parte della popolazione palestinese. A Gaza, le autorità egiziane consentirono ai municipi di acquistare generatori e fornire elettricità alla popolazione. In Cisgiordania, annessa alla Giordania, furono create quasi una dozzina di aziende elettriche. La più grande era la Jerusalem District Electricity Company (JDECO), di proprietà privata, basata sulla concessione ottomana della città, che serviva Gerusalemme, Ramallah, Betlemme e le città e i villaggi vicini. Il resto della Cisgiordania era servito da cooperative a livello di singoli centri abitati o da aziende municipali in città come Nablus, Jenin e Hebron.


Dopo la conquista da parte di Israele della Cisgiordania, di Gaza, del Sinai e delle Alture del Golan nella guerra del 1967, lo Stato israeliano, l'Agenzia Ebraica e le organizzazioni internazionali per lo sviluppo, come USAID, investirono molto nelle infrastrutture per i nuovi insediamenti. I villaggi palestinesi che desideravano accedere alle reti IEC o della Cisgiordania, invece, spesso dovevano raccogliere da soli il capitale necessario.


Verso la metà degli anni '70, circa un quarto della popolazione palestinese che viveva nei territori israeliani entro i confini precedenti al 1967, due terzi della popolazione palestinese in Cisgiordania e tre quarti della popolazione palestinese a Gaza erano ancora privi di energia elettrica.

Il periodo successivo al 1967 ha visto un aumento del consumo complessivo di elettricità da parte della popolazione palestinese che viveva nella Palestina storica. Ma continuava a persistere una profonda disuguaglianza. A metà degli anni '70, circa un quarto della popolazione palestinese che viveva entro i confini di Israele precedenti al 1967, due terzi della popolazione palestinese in Cisgiordania e tre quarti della popolazione palestinese a Gaza erano ancora privi di elettricità. [3] Inoltre, l'elettricità aveva un prezzo. Come ha osservato Laleh Khalili, “dopo il 1967, i territori occupati sono stati resi deliberatamente dipendenti dalle infrastrutture israeliane che potevano essere spente con un semplice interruttore…” [4] Nel novembre dello stesso anno, Israele ha implementato l'Ordine Militare 159, ponendo le infrastrutture elettriche nei territori occupati sotto il controllo israeliano. Israele ha imposto alle compagnie elettriche palestinesi di vendere la loro elettricità a tariffe basse fissate dal governo. A differenza dell'IEC, queste aziende non disponevano dei sussidi statali e delle economie di scala necessarie per vendere elettricità a prezzi fissi in modo redditizio. Inoltre, le autorità di occupazione israeliane impedivano spesso alle aziende palestinesi di ampliare i propri impianti. Ad esempio, gli ordini militari vietavano alla popolazione palestinese di assemblare nuove infrastrutture elettriche senza l'approvazione delle IDF. Nella maggior parte dei casi, l'approvazione non era immediata a meno che non fosse collegata alla rete IEC. Tali politiche rendevano le aziende elettriche palestinesi non redditizie e impedivano nuovi investimenti, facilitando l'acquisizione da parte dell'IEC della fornitura di elettricità in tutta la Cisgiordania.

mappa energetica della palestina
Ufficio della Mappa delle infrastrutture energetiche del Quartetto, dal Rapporto dell'Ufficio del Quartetto al Comitato di collegamento ad hoc, 17 novembre 2021.

A Gaza, l'elettrificazione ha sostenuto l'occupazione post-1967 in diversi modi. Lo Stato israeliano ha richiesto all'IEC di servire i nuovi insediamenti e le basi ebraiche nell'enclave, aprendo la strada alla società per iniziare a vendere energia ai municipi palestinesi. La nuova infrastruttura elettrica alimentava le strutture militari, illuminava le strade per aumentare la visibilità (e la sorveglianza) e consolidava uno schema di sviluppo limitato e dipendente.


Alla fine degli anni Settanta, solo alcune grandi città palestinesi come Gerusalemme, Nablus e Jenin avevano ancora il controllo delle proprie forniture energetiche. Il governo israeliano richiedeva che JDECO servisse i nuovi insediamenti e le strutture militari dell'IDF in Cisgiordania insieme a un numero crescente di palestinesi, nell'ambito di un accordo più ampio che garantiva all'azienda nuovi clienti ma richiedeva che abbassasse i prezzi in base agli standard israeliani. Inoltre, all'azienda fu negato il permesso di espandere a sufficienza la propria capacità di generazione, costringendola ad acquistare la maggior parte dell'elettricità dall'IEC per rivenderla a tariffe fisse basse. Questo accordo eliminò i profitti di JDECO, interruppe il servizio ostacolando la manutenzione e le riparazioni essenziali e la gravò di debiti verso l'IEC. L'azienda fu spinta verso il fallimento e costretta a sopravvivere grazie a prestiti da parte degli stati arabi.


All'inizio degli anni '80, quando il governo israeliano guidato dal Likud tentò (senza successo) di rilevare la JDECO per conto dell'IEC, si scatenò un'ondata di proteste e scioperi. La JDECO vinse infine una causa presso la Corte Suprema israeliana, che respinse la richiesta dell'IEC. Ma nel 1986 l'azienda produceva solo il 3% circa dell'elettricità, acquistando il resto dall'IEC, un calo enorme rispetto al 60% di un decennio prima. [5] Nello stesso anno, l'IEC assorbì i sistemi municipali di Nablus e Jenin e rilevò la fornitura di servizi di JDECO alle basi dell'IDF e ai quartieri e agli insediamenti ebraici. Questi interventi erosero ulteriormente le entrate dell'azienda e rafforzarono il controllo israeliano su Gerusalemme Est, contribuendo allo scoppio della Prima Intifada.


In un'intervista del 1983, l'avvocato e attivista palestinese Jonathan Kuttab osservò che “l'acqua e l'elettricità vengono regolarmente tagliate come forma di punizione” in Cisgiordania. [6] Quando l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) dichiarò l'istituzione di uno Stato palestinese nel 1988, le autorità israeliane reagirono imponendo il coprifuoco e tagliando l'elettricità in tutti i territori occupati dall'oggi al domani. Durante la prima Intifada, i comandanti israeliani interruppero la fornitura di elettricità e carburante alle comunità palestinesi per ore o giorni.


Sfruttando la dipendenza energetica delle comunità palestinesi, le autorità israeliane furono in grado di usare la negazione dell'accesso all'energia come tattica di controinsurrezione.

La popolazione palestinese reagì alla povertà energetica e alla dipendenza in vari modi. Alcuni si procurarono autonomamente l'energia a livello locale. I palestinesi di Gaza, ad esempio, adottarono l'energia solare negli anni '70.

Altri ricorsero a tattiche più conflittuali e militanti. Nel 1969, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina distrusse le linee elettriche che collegavano i nuovi insediamenti nel Naqab/Negev a una centrale elettrica ad Ashdod, ricordando precedenti


Oslo e una nuova architettura del potere


Nonostante la retorica dell'epoca sull'indipendenza energetica palestinese e la cooperazione tra i settori energetici, il processo di Oslo ha consolidato e reso ancora più profonda la dipendenza energetica palestinese da Israele.

L'allegato III degli accordi di Oslo del 1993 prevedeva la “cooperazione nel settore dell'elettricità… [e] dell'energia”, compreso lo “sfruttamento congiunto delle risorse energetiche” [7]. Ma come hanno osservato Lior Herman e Itay Fischhendler, durante il processo di Oslo “Israele ha visto l'elettricità come un futuro strumento di politica estera e ha voluto controllare i processi di produzione e trasmissione al fine di preservare la dipendenza palestinese da Israele, anche dopo la sua indipendenza” [8] Sebbene Herman e Fischhendler esagerino la disponibilità di Israele ad accettare l'eventuale sovranità palestinese, e quindi sbaglino nel descriverla come una questione di politica estera piuttosto che come un aspetto della continua occupazione, osservano correttamente come gli accordi infrastrutturali e istituzionali dell'era di Oslo fossero stati concepiti per mantenere e intensificare la subordinazione palestinese.


Il processo di Oslo ha creato molteplici strozzature che hanno dato a Israele il controllo sui flussi energetici, finanziari e di altro tipo della Palestina. Sotto Oslo, l'IEC è rimasta responsabile della maggior parte della produzione e trasmissione di elettricità in tutta Gaza e in Cisgiordania. Temendo che l'IEC non sarebbe stata in grado di riscuotere il debito palestinese per l'elettricità, i negoziatori israeliani hanno creato un meccanismo per trattenere le entrate doganali palestinesi e le tasse sui lavoratori migranti palestinesi raccolte da Israele. I comuni spesso non erano in grado di rimborsare l'IEC per l'energia acquistata, accumulando un debito significativo di cui la nuova Autorità Palestinese (AP) era in ultima analisi responsabile. L'AP ha tentato di utilizzare contatori elettrici prepagati per trasferire questo debito alle famiglie palestinesi, soprattutto nei campi profughi dove gli utenti spesso si rifiutano di pagare l'elettricità.


L'AP ha compiuto alcuni sforzi per garantire un certo grado di indipendenza energetica nell'era di Oslo. La progettazione di una centrale elettrica a Gaza, ad esempio, è iniziata nel 1994. La centrale elettrica di Gaza, completata nel 2002 e alimentata dal costoso diesel israeliano importato, forniva circa due terzi dell'elettricità della striscia di Gaza. [9] Ma come osserva Adam Hanieh, il Protocollo di Parigi del 1994, che regolava i rapporti dell'AP con Israele, dava a quest'ultimo il “controllo completo su tutti i confini esterni”. [10] Israele controllava l'importazione di carburante destinato alla centrale elettrica di Gaza e al resto dei territori occupati. Secondo la Banca Mondiale, i terminali dove la Cisgiordania e Gaza ricevevano il carburante non disponevano di strutture di stoccaggio, rendendo la popolazione palestinese “dipendente da forniture giornaliere da parte di aziende israeliane” e quindi estremamente vulnerabile ai tagli di carburante. [11]


Nel 1999, al largo della costa di Gaza è stato scoperto un giacimento di gas naturale. Questo giacimento, chiamato Gaza Marine, avrebbe potuto fornire elettricità a basso costo da una fonte di combustibile controllata dalle autorità palestinesi. Ma mentre le autorità israeliane presero in considerazione la possibilità di consentire alla British Gas di sviluppare Gaza Marine, e persino di acquistare gas naturale da questo giacimento controllato dalla Palestina, Israele alla fine non ha mai permesso lo sviluppo di questa risorsa.


Invece, il periodo post-Oslo ha consolidato una profonda dipendenza energetica da Israele che si allineava a una strategia più ampia di promozione della dipendenza economica complessiva della popolazione palestinese, limitandone al contempo la sovranità.

Invece, il periodo post-Oslo ha consolidato una profonda dipendenza energetica da Israele che si allineava a una strategia più ampia di promozione della dipendenza economica complessiva della popolazione palestinese, limitandone al contempo la sovranità. Nel 2000, oltre il 99% della popolazione palestinesi in Cisgiordania e a Gaza aveva un accesso all'elettricità fondamentalmente controllato da Israele, che continuava a sfruttare questa dipendenza come arma.[12] Durante la seconda Intifada, Israele bloccò regolarmente l'ingresso di carburante a Gaza per alimentare la propria centrale elettrica. Le forze israeliane presero inoltre di mira direttamente le infrastrutture energetiche palestinesi. Durante le incursioni, le forze israeliane sparavano regolarmente ai lampioni e tagliavano l'elettricità ai quartieri palestinesi in modo da poter operare al riparo dell'oscurità. Gli attacchi alle strutture mediche danneggiavano i generatori, interrompendo le cure mediche. Secondo un rapporto della Banca Mondiale del 2002, a Hebron “i trasformatori elettrici furono colpiti ripetutamente e in gran numero, causando frequenti interruzioni…”[13] L'Autorità Palestinese per l'Energia ha stimato che le forze israeliane sono state direttamente responsabili della distruzione di infrastrutture energetiche per un valore di 15 milioni di dollari tra il 2000 e il 2003, anche se questa cifra probabilmente sottovaluta il vero costo di tali tattiche, data la centralità dell'energia nella vita economica. [14]


Occupazione “a distanza”


Dopo Oslo e l'evacuazione di Gaza nel 2005, il controllo sull'energia e su altre infrastrutture critiche, insieme all'uso della forza aerea, ha permesso a Israele di intraprendere quella che Salamanca ha definito un'occupazione “a distanza”. [15]


Dopo la vittoria di Hamas alle elezioni parlamentari palestinesi, la presa di controllo di Gaza e la cattura del soldato dell'IDF Gilad Shalit nel 2006, le forze israeliane hanno bombardato la centrale elettrica di Gaza, ostacolando così le cure mediche in tutto il territorio. L'impianto è stato riparato nel 2007, ma le autorità israeliane hanno dichiarato Gaza un “territorio ostile” e hanno iniziato a impiegare la restrizione delle forniture di carburante a Gaza come tattica di assedio, fornendo solo carburante, elettricità, acqua, cibo e altri beni essenziali sufficienti a soddisfare un presunto fabbisogno umanitario minimo. [16]


Durante i combattimenti tra Israele e Hamas nel 2008, Israele ha interrotto completamente l'approvvigionamento di carburante a Gaza, danneggiato le linee elettriche che si estendono a Gaza sia da Israele che dall'Egitto e limitato l'ingresso dei pezzi di ricambio necessari per la manutenzione e la riparazione della centrale elettrica. I serbatoi di stoccaggio del combustibile dell'impianto sono stati nuovamente presi di mira nell'assalto a Gaza del 2014. Nella breve guerra del 2021, le autorità israeliane hanno limitato la fornitura di elettricità dalla IEC a Gaza e l'IDF ha bombardato un impianto solare di recente costruzione. Israele ha nuovamente ridotto il flusso di carburante a Gaza alla fine del 2021 e nel 2022, limitando la capacità della centrale elettrica di generare elettricità.


L'approvvigionamento energetico della Cisgiordania, sebbene sia stato oggetto di meno assedi e bombardamenti rispetto a quello di Gaza, è anch'esso stato preso di mira dalle autorità israeliane. Ad esempio, l'IEC ha interrotto l'erogazione di energia a Nablus e Jenin quando questi municipi non hanno pagato le bollette dell'energia elettrica dopo che Israele ha trattenuto le entrate fiscali dall'Autorità Palestinese come rappresaglia per l'adesione della Palestina alla Corte Penale Internazionale nel 2015.


Prima del 7 ottobre 2023, Gaza spendeva più di un quinto del suo PIL per l'energia importata direttamente da Israele e riceveva in media solo 10 ore di elettricità al giorno.

Le comunità palestinesi in Cisgiordania e a Gaza hanno risposto in modo creativo. Alcune hanno stabilito collegamenti informali alla rete elettrica in Cisgiordania, espropriando l'elettricità dall'IEC e aumentando il debito dell'Autorità Palestinese. Piccoli generatori diesel hanno protetto dalle interruzioni di corrente coloro che possono permetterseli. Al di fuori della portata delle autorità israeliane, che spesso confiscano o distruggono i pannelli solari in Cisgiordania, la popolazione di Gaza ha ampiamente adottato l'energia solare a partire dagli anni 2010, con una copertura di pannelli solari passata da 115 a 20.000 metri quadrati tra il 2012 e il 2019 e l'energia solare che fornisce fino al 12% dell'approvvigionamento energetico della striscia di Gaza. [17] Ma nonostante queste soluzioni locali, la popolazione palestinese consuma la minor quantità di energia pro capite in Medio Oriente, pagando il prezzo più alto per essa. Come per tanti altri aspetti della vita palestinese, la povertà energetica è il risultato di un rapporto fondamentalmente estrattivo: prima del 7 ottobre 2023, Gaza spendeva più di un quinto del suo PIL in energia importata direttamente da Israele e riceveva in media solo 10 ore di elettricità al giorno.


L'assalto all'energia palestinese dal 7 ottobre


Mentre le autorità israeliane hanno modulato con attenzione la negazione dell'energia nelle loro campagne controinsurrezionali nel periodo successivo al 1967 e a Oslo, la guerra di eliminazione che è seguita al 7 ottobre 2023 ha visto il blocco quasi assoluto dell'approvvigionamento energetico di Gaza e il bombardamento indiscriminato delle infrastrutture energetiche. Le autorità israeliane hanno interrotto il flusso di elettricità e carburante quasi completamente, consentendo solo in modo intermittente l'ingresso di quantità minime di carburante sotto la pressione internazionale.


Le forze israeliane hanno anche danneggiato le attrezzature, dalle gru utilizzate dalla Gaza Electricity Distribution Company ai punti di connessione elettrica ad alta tensione che consentono l'importazione di elettricità israeliana. Secondo una stima prudente della Banca Mondiale, nel marzo 2024 Israele aveva distrutto oltre il 60% della rete di distribuzione elettrica di Gaza. [18] Più o meno nello stesso periodo, l'autorità per l'energia di Gaza ha stimato 500 milioni di dollari di danni alle infrastrutture energetiche e ha ipotizzato che circa il 90% dei pannelli solari della striscia di Gaza siano stati danneggiati. [19] Amnesty International afferma che 11 dei 17 più grandi impianti solari di Gaza sono stati danneggiati o distrutti, e Human Rights Watch ha documentato il danneggiamento intenzionale dei pannelli solari che alimentano gli impianti di trattamento delle acque di scarico.


L'impatto della rapida e quasi totale interruzione dell'approvvigionamento energetico di Gaza è stato catastrofico. Gli ospedali, che sono stati essi stessi obiettivi abituali delle IDF, hanno stentato a procurarsi carburante per i generatori in assenza di elettricità. Come risultato, il numero sempre più esiguo di strutture mediche funzionanti è stato costretto a fornire assistenza a decine di migliaia di civili feriti senza elettricità.


Tuttavia, la popolazione palestinese ha trovato soluzioni innovative per far fronte a queste condizioni disastrose, creando stazioni di ricarica comuni utilizzando i pochi pannelli solari rimasti e persino improvvisando piccole turbine eoliche montate su tende e tetti.

Nel febbraio 2024, l'analisi delle immagini satellitari di Care International ha rivelato che il 70% degli ospedali di Gaza non aveva illuminazione notturna, anche se funzionavano a più del triplo della loro capacità. La mancanza di energia ha esacerbato le condizioni di carestia e ha ostacolato gli sforzi di soccorso già deliberatamente limitati. Senza energia, ad esempio, la popolazione di Gaza fatica a trasformare la farina consegnata come aiuto umanitario in pane commestibile. La mancanza di carburante ed elettricità ha anche bloccato il lavoro degli impianti di desalinizzazione, riducendo la disponibilità di acqua a meno di un terzo della quantità richiesta pro capite. La mancanza di carburante e di elettricità ha anche interrotto il sistema sanitario, contribuendo così allo scoppio della poliomielite. Ha interrotto le telecomunicazioni, negando alla popolazione di Gaza l'accesso alle macabre mappe che dovrebbero indirizzarla verso le cosiddette zone sicure e, insieme alle ripetute uccisioni intenzionali di giornalisti, ha tagliato i collegamenti con il mondo esterno. Tuttavia, i palestinesi hanno trovato soluzioni innovative per queste condizioni disastrose, creando stazioni di ricarica comuni utilizzando i pochi pannelli solari rimasti e persino improvvisando piccole turbine eoliche montate su tende e tetti.


In Cisgiordania, dal 7 ottobre 2023, il governo israeliano ha utilizzato il debito elettrico come pretesto per trattenere ingenti entrate fiscali dall'Autorità Palestinese. Il mantenimento della dipendenza elettrica palestinese e l'insieme di accordi istituzionali sviluppati sotto Oslo che hanno posto i canali fiscali palestinesi sotto il controllo israeliano, hanno creato un meccanismo di punizione collettiva e un mezzo attraverso il quale Israele ha portato l'Autorità Palestinese sull'orlo del collasso in un'apparente manovra per annettere la Cisgiordania.


Infine, Israele ha sfruttato l'apertura creata da questa guerra per espropriare le risorse energetiche palestinesi.


Nel 2019, lo Stato di Palestina ha formalmente dichiarato i propri confini marittimi in conformità con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, rivendicando aree marittime al largo della costa di Gaza. Israele ha contestato questi confini sulla base del suo mancato riconoscimento della Palestina come Stato sovrano. Il 29 ottobre 2023, il Ministero dell'Energia israeliano ha concesso licenze a società energetiche israeliane e internazionali per la ricerca di gas naturale in una zona al largo di Gaza che si sovrappone in gran parte all'area marittima rivendicata dalla Palestina. Questa mossa mina le basi della futura sovranità energetica palestinese e va di pari passo con l'accelerata colonizzazione della Cisgiordania.


Durante questa guerra genocida, le leadership statunitensi ed europee hanno costantemente promesso al popolo palestinese un percorso verso la statualità dopo la conclusione di un accordo di cessate il fuoco. Ma come ha sostenuto Rashid Khalidi, la formula dei due Stati è un'illusione: “La sovranità e lo Stato palestinese... non sono mai stati sul tavolo, mai, da nessuna parte, in nessuna fase, da nessuna fazione, dagli Stati Uniti o da Israele o da chiunque altro.”[20] La promozione e lo sfruttamento a lungo termine della dipendenza energetica palestinese sottolinea questo punto.


Qualsiasi soluzione significativa all'occupazione e alla colonizzazione della Palestina deve includere il controllo palestinese sulle forniture energetiche, sia sotto forma di una rete centralizzata alimentata da combustibili fossili basata sullo sviluppo delle risorse di gas naturale offshore della Palestina, sia sotto forma di una rete più duratura e decentralizzata basata sull'energia solare controllata localmente. Spetta al popolo palestinese determinare come dovrà essere la futura sovranità in materia di energia e un futuro vivibile.

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