“From the river to the sea” è incitazione al genocidio
- Decolonize Palestine
- 1 set 2023
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 30 mar

Sarebbe difficile partecipare a qualsiasi forma di attivismo o organizzazione legati alla Palestina senza imbattersi in questo slogan. Sarebbe altrettanto difficile non sentire le accuse riguardo i presunti significati nascosti da questa frase. Basta una rapida ricerca su Google per capire che per molte persone israeliane e per chi ne prende le difese questo slogan equivale a un appello al “genocidio”, alla “pulizia etnica degli ebrei” e persino a un altro Olocausto.
Si tratta di accuse molto gravi, ma hanno ben poco fondamento nella realtà. Queste accuse, come molte altre, sono principalmente il risultato di una combinazione di ansia coloniale, proiezione, deliberato fraintendimento e una perdurante mentalità da bunker.
Analizziamo con attenzione la questione. Su un piano più basilare, si chiede una Palestina libera dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo). Questo comprende grosso modo l'intera area del mandato britannico della Palestina. Ma cosa significa concretamente? Come si configurerebbe nella pratica?
Secondo molti sionisti, l'unica interpretazione possibile è la pulizia etnica di massa o il genocidio delle persone ebree israeliane tra il fiume e il mare, o peggio ancora la distruzione dell'intero popolo ebraico. Insistono sul fatto che non ci sono altre spiegazioni possibili.
Una tradizione coloniale di proiezione
Queste ansie non sono certo un'esclusiva delle persone ebree israeliane; i coloni di molte colonie diverse nel corso della storia hanno fatto eco a questi stessi sentimenti. Se dovessimo dare un'occhiata alla narrativa che circonda l'attivismo e i boicottaggi contro il Sudafrica, troveremmo proiezioni e argomentazioni molto simili.
Ad esempio, in un articolo del Globe and Mail intitolato “Il lato positivo del Sudafrica bianco” Kenneth Walker sosteneva che porre fine al sistema dell'Apartheid e dare a chiunque un equo voto sarebbe stata una “ricetta per il massacro in Sudafrica”. Altri, come Shingler, hanno fatto eco a simili affermazioni, dicendo che chi praticava attivismo antirazzista in realtà non aveva interesse nel porre fine all'Apartheid come politica, ma al Sudafrica come società.
È stato anche affermato che queste persone impegnate nell’attivismo erano in realtà motivate da un “razzismo anti-bianco”, alimentato dall'“imperialismo nero”.
I fumetti politici mostravano un gigantesco orso sovietico che si abbatteva sul Sudafrica dichiarando: “Cacceremo il Sudafrica nel mare!”.
Vi ricorda qualcosa?
Come disse una volta Fred Moten:
“I coloni pensano sempre di difendersi. Per questo costruiscono fortini sulle terre altrui. E poi vanno fuori di testa perché si trovano circondati. E tutt’ora sono circondati”.
Allo stesso modo, in Israele i diritti delle persone rifugiate palestinesi sono posizionati come diametralmente opposti alla vita stessa del colono israeliano. Il ritorno di queste persone comporta quindi niente di meno che l'annientamento dei coloni. Pertanto, non solo il colono cerca di negare il ritorno delle persone native, ma di attaccare l'intero idea secondo la quale queste avrebbero dei diritti, tanto per cominciare.
Tuttavia, nei rari casi in cui chi sostiene Israele riconosce che le persone palestinesi rifugiate hanno subito un torto e che la loro dispersione nel mondo è dovuta alle azioni israeliane, l'argomentazione diventa che, pur essendo tragica, è l'unico modo per tenere al sicuro il popolo ebraico.
Va ricordato che questa pretesa non è una prerogativa israeliana, argomentazioni simili sono state utilizzate contro l'abolizione della schiavitù negli Stati Uniti. Per esempio, Thomas Jefferson paragonò la schiavitù a un lupo: “Abbiamo il lupo per le orecchie e non possiamo né trattenerlo né lasciarlo andare con sicurezza. La giustizia è su un piatto della bilancia e l'autoconservazione sull’altro”.
Tutto ciò suona assolutamente ridicolo, adesso. Sebbene il primo approccio sia chiaramente una propaganda rozza e vile, progettata per istigare la paura e il panico, è un metodo tipico delle società colonizzatrici. Il secondo approccio si distingue forse un po' di più per il suo sfacciato tentativo di manipolazione. In uno sforzo finale per centrare le loro esperienze e cancellare le loro vittime, i coloni si dipingono come protagonisti della loro stessa tragedia, vittime tragiche del destino, costrette a esercitare l'ingiustizia in nome dell'autoconservazione.
Alla base della logica di entrambi questi approcci ci sono i presupposti razzisti secondo cui le persone colonizzate sono barbare, sanguinarie e spietate. È una logica profondamente disumanizzante, intrisa di ogni tropo coloniale e orientalista. L'idea che una Palestina libera porterebbe inevitabilmente al genocidio deriva dalla stessa logica. Di fatto, nonostante tutte le affermazioni per cui il popolo palestinese vorrebbero buttare le persone israeliane in mare, nella realtà si è verificato solamente il contrario.
Un grido di libertà
Proiettare l'intento genocida anche sui più blandi appelli alla giustizia per il popolo palestinese è da tempo un punto fermo della Hasbara israeliana, e queste interpretazioni intellettualmente disoneste sono un'abitudine.
Ma cosa chiedono esattamente le persone palestinesi quando cantano questa frase? È inutile negare la realtà. Tra il fiume e il mare esiste una potenza dotata di armi nucleari, e non sono è il popolo palestinese e possederle. Sebbene l'Autorità Palestinese abbia alcuni poteri amministrativi limitati in alcune aree, non ha assolutamente alcun potere sovrano.
Di fatto, Israele determina persino chi è cittadinǝ palestinese e chi no, avendo il controllo de facto del registro di cittadinanza palestinese. Israele esercita il suo controllo e la sua egemonia attraverso una matrice di controllo che consiste in un misto di sistemi e pratiche legali diversi per le diverse etnie nelle diverse aree.
Quando il popolo palestinese invoca la libertà dal fiume al mare, sta reclamando la decolonizzazione e lo smantellamento dell’entità coloniale razzista che domina le loro vite, nell’ottica di sostituirla con uno Stato che non opprima altre vite.
Non si tratta di una posizione nuova o radicale: una simile entità è stata suggerita dagli Stati arabi come controproposta al piano di spartizione del 1947. Naturalmente, questa proposta fu respinta dai sionisti. Il fatto che non si senta quasi mai parlare delle offerte rifiutate dall'Yishuv/Israele dovrebbe essere un indicatore della natura delle discussioni mainstream sulla Palestina e della messa a tacere delle voci palestinesi. Anche l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha chiesto di istituire uno Stato unitario laico e democratico per la sua intera popolazione.
Naturalmente, nessuna di queste proposte includeva il genocidio, la pulizia etnica o l'omicidio di massa.
Indipendentemente dai vostri orientamenti ideologici, la realtà è che si sta già sperimentando de facto uno Stato unico. La leadership politica israeliana si vanta orgogliosamente di non permettere che uno Stato palestinese si materializzi. I libri di scuola israeliani già cancellano la linea verde. Israele governa già la vita di tutte le persone che abitano quelle terre. Le richieste palestinesi che reclamano la dissoluzione di questo colonialismo nudo e crudo sono legittime e giuste. Il fatto che alle persone palestinesi venga chiesto di garantire il benessere dei loro oppressori mentre vengono uccise, imprigionate e brutalmente represse ogni giorno è una prova della loro totale disumanizzazione.
Fonti per approfondire:
Abunimah, Ali. One country: A bold proposal to end the Israeli-Palestinian impasse. Macmillan, 2006.
Tilley, Virginia. The one-state solution: A breakthrough for peace in the Israeli-Palestinian deadlock. University of Michigan Press, 2010.
Farsakh, Leila. “The one-state solution and the Israeli-Palestinian conflict: Palestinian challenges and prospects.” The Middle East Journal 65.1 (2011): 55-71.
Hussein, Cherine. The re-emergence of the single state solution in Palestine/Israel: Countering an illusion. Routledge, 2015.
Lustick, Ian S. Paradigm Lost: From Two-State Solution to One-State Reality. University of Pennsylvania Press, 2019.
Bashir, Bashir, and Azar Dakwar. Rethinking the Politics of Israel/Palestine: Partition and Its Alternatives.S&D Group in the European Parliamet/Bruno Kreisky Forum for international Dialogue, Vienna. 2014.